Quando la protesi è da cambiare: gli interventi di revisione per quanto riguarda l’anca

Sebbene in media molto longeve, anche le protesi d’anca hanno una durata limitata nel tempo. Quando è necessario sostituire la vecchia protesi con una nuova ci si trova di fronte ad un intervento complesso e delicato, per il quale è di fondamentale importanza la fase di pianificazione e per il quale sono necessarie attenzioni specifiche riguardo alla tipologia degli impianti da utilizzare e alle vie d’accesso chirurgiche. Ne parlo in questo articolo.

Cosa si intende con “protesi da revisione”?

È molto semplice: la protesi da revisione è un impianto che va a rimpiazzare quello vecchio. Con la procedura chirurgica si vanno a sostituire una o più componenti (stelo femorale, coppa acetabolare, inserto e testina) della protesi con nuove componenti artificiali biocompatibili. Si tratta di un intervento più complesso rispetto a quello del primo impianto, ma che oggi viene eseguito sempre più spesso a causa dell’aumento esponenziale delle protesi primitive che sono state impiantate negli anni passati anche su pazienti di giovane età.

Come vi ho già spiegato qui i motivi che rendono necessario l’intervento di revisione non sono limitati all’età dell’impianto, ma possono riguardare complicanze come infezioni, fratture periprotesiche, mobilizzazioni asettiche, lussazioni, allergie ai materiali e metallosi. L’obiettivo dell’intervento è quello di ridurre la sintomatologia dolorosa e restituire una piena stabilità e funzionalità all’impianto protesico.

L’intervento

Come accennato qui sopra, l’intervento di revisione non è paragonabile a quello di un primo impianto. La complessità della procedura è strettamente legata allo stato in cui si trovano la protesi stessa e il tessuto osseo in cui è inserita al momento dell’operazione. Dal punto di vista tecnico l’intervento comporta tempi operatori più lunghi con maggiori perdite ematiche dovute alla necessità di vie d’accesso estese o multiple e un rischio più elevato di complicanze.

La scelta della via di accesso più opportuna si effettua in fase di pianificazione dell’intervento ed è fondamentale perché, in base allo stato dell’impianto, è necessaria la miglior visibilità possibile per il chirurgo. In genere si tenta di utilizzare la stessa via d’accesso, magari allargata, utilizzata nel primo intervento. Questo per non creare ulteriori punti di instabilità e ridurre il rischio di lussazione nel post operatorio nonché per conferire anche un vantaggio dal punto di vista estetico. Tuttavia questa non è la regola: lo stato dell’articolazione che emerge dagli esami effettuati prima dell’intervento potrebbe suggerire opzioni migliori. Le vie di accesso più utilizzate sono due:

  • postero-laterale
  • anteriore allargata

La scelta della postero-laterale avviene in genere riprendendo quella del primo intervento, magari allargandola per permettere un lavoro più comodo soprattutto sulla porzione femorale nel caso sia necessario sostituire lo stelo protesico e/o effettuare procedure di osteosintesi.

Con la via anteriore allargata si utilizza l’incisione precedente allargandola o creandola ex novo. Il vantaggio di questa opzione risiede soprattutto nel posizionamento del paziente, supino, che favorisce la massima precisione nella misurazione degli arti e una maggior facilità nell’accesso alla componente acetabolare e nel trattamento di difetti ossei sul bacino. Garantisce inoltre un minore rischio di lussazione.

Nella maggior parte dei casi, per la protesi da revisione si utilizzano impianti specifici progettati ad hoc allo scopo di compensare i danni che hanno subito l’osso e i tessuti molli circostanti. Se nel corso del primo intervento è stato utilizzato il cemento per il fissaggio della protesi, questo dev’essere rimosso rendendo i tempi operatori più lunghi e l’intervento più complesso. Molto spesso l’osso intorno all’anca dev’essere ricostruito con sostituti metallici e/o con trapianti di osso e, anche per questi motivi, lo strumentario a disposizione del chirurgo dev’essere specifico per gli interventi di revisione. 

Caso clinico

Tra gli interventi di revisione di protesi d’anca più complessi che ho effettuato, ricordo il caso di un paziente con disgiunzione pelvica, migrazione della coppa acetabolare e lussazione della protesi totale d’anca. In questa particolare situazione è stato eseguito un trapianto di osso da cadavere per ricostruire l’acetabolo, la disgiunzione pelvica è stata stabilizzata con un cage con viti al cui interno è stata cementata una nuova coppa acetabolare. La successiva riduzione della lussazione ha consentito il ripristino della corretta funzionalità e stabilità della protesi d’anca.
In conclusione possiamo affermare che, sebbene più complesso e delicato rispetto a un primo intervento, nell’ambito degli interventi di revisione abbiamo a disposizione una letteratura sempre più ampia e una esperienza clinica sempre più allargata. Questo ci consente, nella maggior parte dei casi, di affrontare queste operazioni con fiducia e la certezza di garantire al paziente un buon esito dell’intervento con ottimi risultati nel campo della riduzione del dolore e del ripristino della funzionalità e stabilità articolare.