Non tutte le operazioni chirurgiche necessitano di procedure particolarmente traumatiche per i tessuti. La chirurgia moderna ha negli anni sviluppato tecniche sempre più rispettose dei tessuti al fine di ridurre le perdite ematiche, diminuire i tempi di recupero e il dolore post operatorio. Ma cosa si intende di preciso quando si parla di chirurgia mini-invasiva? Vediamolo insieme.
Il concetto di invasività in chirurgia
Quando parliamo di invasività ci riferiamo a tutte quelle procedure che determinano fattori traumatici per i tessuti dell’organismo e, come si può intuire, la chirurgia è un procedimento invasivo per definizione. Il grado di invasività di un intervento può però essere ridotto con l’utilizzo di tecniche particolari: la chirurgia mini-invasiva comprende infatti tutto quell’insieme di tecniche che permettono di danneggiare i tessuti in maniera inferiore rispetto alle procedure tradizionali.
In campo ortopedico, lo sviluppo di tecniche e di strumentazioni sempre più sofisticate ha consentito negli anni di ridurre, in molti casi in maniera significativa, il grado di invasività degli interventi sia per quanto riguarda le cicatrici sia per quanto riguarda i tessuti molli e il tessuto osseo. I vantaggi degli interventi mini-invasivi sono molteplici:
- incisioni cutanee ridotte
- minori perdite ematiche
- tempi di recupero rapidi
- risparmio dei tessuti molli e/o del tessuto osseo
- riduzione dei tempi di degenza
- minori rischi di infezione
- percorso riabilitativo precoce e più rapido
La tecnica chirurgica mini-invasiva più nota è l’artroscopia, una metodologia che utilizza apposite telecamere (dette appunto artroscopi) e appositi strumenti chirurgici che vengono inseriti nell’articolazione attraverso piccolissime incisioni. Ma non esiste solo l’artroscopia, anche la cosiddetta chirurgia “a cielo aperto” può rispettare i principi della mini-invasività. Vediamone insieme un paio di esempi, uno per quanto riguarda il risparmio dei tessuti molli, uno per quanto riguarda il risparmio dell’osso.
La via anteriore per l’impianto di protesi d’anca
L’impianto di protesi d’anca è tra gli interventi più sicuri in campo ortopedico e tra quelli con il grado di soddisfazione più alto da parte dei pazienti. Le tecniche chirurgiche classiche, come la via laterale e la postero-laterale allargata, prevedono però delle incisioni cutanee piuttosto lunghe (intorno ai 10-15 cm) e la dissezione di alcuni muscoli – oltre che la disinserzione di alcuni tendini – che si rendono necessari per accedere all’articolazione da sostituire.
Negli ultimi anni si utilizza sempre di più l’accesso per via anteriore diretta, una tecnica chirurgica che rispetta appieno i criteri della mini-invasività. In questo tipo di procedura si effettua un taglio cutaneo ridotto (7-8 cm) e non si procede alla disinserzione di alcun muscolo o tendine sfruttando invece lo spazio tra i muscoli che vengono dunque semplicemente divaricati. Si tratta di una procedura molto vantaggiosa, ma che non può essere eseguita su tutti i pazienti: è sconsigliata infatti in caso di particolari patologie dell’anca e sui pazienti obesi o particolarmente muscolosi. In questo caso una via postero-laterale mini-invasiva risulta in un ottimo compromesso tra invasività ridotta, corretta gestione della procedura chirurgica e dell’anatomia del paziente. Garantisce inoltre un recupero molto simile nelle prime settimane alla via anteriore diretta e gli stessi risultati a pochi mesi dall’intervento.
La doppia protesi monocompartimentale
Mentre la via anteriore è una tecnica in grado di risparmiare in maniera significativa i tessuti molli, nell’ambito delle protesi di ginocchio esiste una possibilità interessante, sebbene non ancora molto utilizzata, per quanto riguarda il risparmio dell’osso e dei legamenti che consiste nell’utilizzare due protesi monocompartimentali al posto della protesi totale. La maggior parte dei chirurghi infatti, in caso di artrosi che colpisce due compartimenti articolari su tre, opta comunque per la protesi totale.
La doppia protesi monocompartimentale in questi casi è invece un’ottima soluzione perché mira alla salvaguardia dei legamenti sani e di tutte le strutture articolari non danneggiate, evitando di sostituire le porzioni ossee ancora integre. Il candidato ideale per questo intervento è un paziente relativamente giovane, anche sportivo, con legamenti in buono stato.
La chirurgia mini-invasiva è sempre applicabile?
In base a quello che abbiamo detto sopra sembrerebbe assurdo non utilizzare in tutti i casi le tecniche mini-invasive, ma purtroppo ogni tecnica ha le sue indicazioni specifiche e non è applicabile in tutti i casi. La scelta della procedura più adatta la compie il chirurgo in accordo con il paziente tenendo conto delle sue condizioni cliniche, delle sue richieste funzionali, dello stato dell’articolazione da operare. Il mio consiglio è quello di farsi coinvolgere sempre dal proprio ortopedico nei passaggi preoperatori che determinano la scelta della tecnica da utilizzare, in modo da affrontare l’intervento perfettamente consapevoli dei pro e dei contro di quella specifica procedura, dei vantaggi e dei potenziali rischi.